Seconda tappa del trittico dedicato ai 700 anni dalla morte dell’Alighieri
di Simona Maria Frigerio
Non una salita al Paradiso Terrestre quanto una presa di coscienza del nostro esserci ed essere nel mondo (come Heidegger insegnava), il secondo capitolo che Ermanna Montanari e Marco Martinelli dedicano alle tre cantiche dantesche, seconda tappa del progetto che il Teatro delle Albe ha ideato partendo dalla Divina Commedia.
Dopo l’Inferno, targato 2017, Montanari e Martinelli presentano il loro teatro itinerante a Ravenna per ridare vita ai penitenti del Purgatorio. Nel 2021 è prevista l’ultima tappa, ossia il Paradiso, in occasione dei 700 anni dalla morte del poeta. A differenza dell’Inferno – drammaturgicamente ricco di personaggi dalla statura tragica (dal Conte Ugolino a Ulisse) – il Purgatorio è di base un dramma filosofico sulla pochezza umana: qui non si va tra ʻtra la perduta gente’ bensì tra ʻcolombi radunati a la pastura’. E se l’età moderna non ammette più l’assoluto proprio della tragedia (Szondi docet), così si devono sostituire – sulla scena – ai grandi monologhi e alle figure emblematiche, maledette dal proprio destino, io narranti e un’epica della decadenza a cui tutta la società sembra ormai consegnata. Filosoficamente traslando, laddove l’estetica di Hegel indicava come via all’assoluto – quale sintesi e superamento – la faticosa risalita (che adombra quella a cui sono condannati i penitenti nelle sette cornici dantesche) che, dall’arte, conduce alla filosofia e, da questa, finalmente alla fede; il Purgatorio non potrà che essere il secondo mo(vi)mento, dedicato alla riflessione e alla meditazione, per quelle anime pentite che, non più macchiate dal peccato mortale irriducibile, e dalla tragedia, scadono in quella banalità del male – tutta novecentesca – che genera il pantano fetido nel quale brancoliamo.
Come da non-scuola la rimessa in vita passa attraverso la ricerca di figure e situazioni proprie della contemporaneità che possano incarnare ed esprimere quel marasma. Tre scelte, in particolare, colpiscono e fanno riflettere a lungo – come il teatro e l’arte dovrebbero permetterci di fare. In primis, Pia de’ Tolomei, che si identifica con le donne vittime della violenza maschile (e viste le minacce di stupri politici che invadono la rete in questi giorni, il monito appare più pregnante e necessario di sempre). A seguire, la sovrapposizione di Oderisi da Gubbio e Joseph Beuys che potrebbe andare oltre al monito sulla vanità mondana o alla relativizzazione dei valori dell’attuale società capitalistica rispetto alla salvaguardia del pianeta, in quanto Beuys non fu solo un artista celebre e celebrato in vita (denso il rimando alle lavagne perugine, sintesi del pensiero etico ed estetico del maestro tedesco) ma anche personaggio controverso. E in un mondo privato dell’assoluto tragico, anche l’artista si riduce nel confronto con l’uomo che, sebbene ispiratore dei Verdi tedeschi, non è esente da macchie. Dalle fandonie sui tartari che lo avrebbero salvato durante la Seconda guerra mondiale ai rapporti intrattenuti, fino alla fine, con ex nazisti che, non solamente si arricchirono grazie agli espropri nei confronti degli ebrei e alle commesse militari, ma che non paiono avere mai messo in discussione le loro scelte ideologiche; come raccontato nella biografia di Beuys scritta da Hans-Peter Riegel (edita nel 2013 e nuovamente nel 2018), l’artista perseverò fino all’ultimo nel mescolare abilmente l’istanza ecologista con il “processo di guarigione sul suolo tedesco” e altri temi affini di matrice steineriana e di dubbia valenza. E a questo punto ci sarebbe da domandarsi se la ragione per la quale il mondo dell’arte e, soprattutto, il mercato dell’arte continuano a opporre un’ostruzione quasi totale a queste denunce sia dovuta proprio al timore che, come Giotto offuscò la fama di Cimabue (e torniamo a Oderisi da Gubbio), se si demistificasse l’uomo si indebolirebbe l’artista e, di conseguenza, se ne abbasserebbero le quotazioni. La terza figura che colpisce è Matelda, interpretata da quattro ragazzine vestite e acconciate come Greta Thunberg, che accolgono Dante, e noi con lui, per purificarci attraverso le acque dell’Eunoè, così che noi – e simbolicamente le nostre fronde e il nostro pianeta – si germogli nuovamente. Queste Greta quando ci accusano di non essere capaci di scegliere tra bianco e nero mostrano in pieno il declino inarrestabile della nostra società: sono, forse inconsapevolmente, un monito davvero potente. Perché se una società non è più in grado di preservarsi, è destinata a isterilirsi e a morire, ma se quella stessa società ha bisogno di trasformare una ragazzina in una Giovanna D’Arco pop è perché anche la denuncia ha rilevanza massmediatica solamente quando può trasformarsi in un fenomeno di costume. Una rivoluzione ci salverà di Naomi Klein o Espulsioni. Brutalità e complessità nell’economia globale di Saskia Sassen sembrano lettera morta di fronte all’appeal di una ragazzina che pretende si scelga tra bianco e nero in un mondo che, per sua natura e per l’intrinseca e meravigliosa imperfezione umana, non può che dispiegarsi in un’infinita gamma di sfumature. E del resto già i nativi americani insegnavano: ʻNon ereditiamo la terra dai nostri antenati, la prendiamo in prestito dai nostri figli’. Ma questo non significa che dovremmo consegnare la nostra capacità di ragionamento e scelta a un bambino: i bambini-soldato – da Pol Pot a Boko Haram – dimostrano come anche la co(no)scienza del bene e del male abbia bisogno di tempo ed educazione per svilupparsi: senza il principio di realtà si può consegnare il mondo a mistici e folli – il che, per quanto affascinante, genera un mondo, appunto, bianco o nero, assoluto, ossia un autentico incubo kafkiano.
Il secondo elemento portante di questo viaggio verso la consapevolezza è la musica. Cori e preghiere sostituiscono invettive e maledizioni, nel Purgatorio dantesco. E il lavoro fatto dalle Albe e da Luigi Ceccarelli per creare un sostrato sonoro che guida, più che accompagnare, è straordinario. Una versione radiofonica di questo dramma umano, tutto interiore, sarebbe altrettanto potente perché canto e preghiera restituiscono in pieno quelle anime dolenti che brancolano in una fitta nebbia e che, come noi, cercano risposte umane – magari limitate come noi stessi, eppure prometeiche nella loro caparbia audacia a superare quegli stessi limiti. Un plauso particolare alla tromba di Simone Marzocchi – applaudita anche in
https://teatro.persinsala.it/fedeli-damore/53752/ –
che, nei suoi virtuosismi sinuosi, sembra proprio indicarci nell’arte e nella creatività, nella musica e nella poesia, quell’aspirazione alla bellezza che non è mai disgiunta dalla verità e dal rispetto per la dignità umana.
Ma il tramonto della nostra civiltà e la distruzione del nostro habitat sono processi irreversibili? ʻGli esseri umani sono un’infezione estesa, un cancro per questo pianeta’, un virus, come adombrava l’agente Smith nel film cult Matrix? Come Umberto Galimberti indica: ʻTramontare è l’inevitabile declinare della luce o è l’inconsapevole sottrarsi della terra alla luce? Cogliere il senso di questa domanda è decidersi per un’attesa o per una scelta’. Tra l’attesa e la scelta vi è l’esserci: a noi prendere posizione.
Ravenna, sabato 6 luglio 2019.
Pubblicato (con alcune modifiche) su Traiettorie.org, l’8 luglio 2019.
In copertina: Una scena del Purgatorio, 24 giugno 2019. Foto di Silvia Lelli (gentilmente fornita dall’Ufficio stampa del Teatro delle Albe).