Polittico in sette quadri per Dante Alighieri
di Simona Maria Frigerio
Sette quadri e altrettante cantiche per raccontare l’Italia di Dante, troppo simile alla nostra. Al Teatro delle Albe va in scena il nuovo spettacolo di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari.
Un fantasma, forse, quello che si muove sul palco a fatica, quasi barcollando, cercando di vedere ciò che la nebbia della pianura nasconde. Quella che tutto avvolge e cela insieme protettiva eppure che penetra nelle ossa – provocando quella sensazione di freddo e di umidità che alla lunga divorano e compromettono le articolazioni di tutto il corpo. O forse è la nebbia stessa, il suo corpo aereo senza carne né sangue eppure onnipresente, invadente, in grado di infiltrarsi in qualsiasi nascondiglio – anche il più recondito. O è lo stesso Dante, scacciato, esule solitario per un viaggio senza ritorno perché il panorama è dominato dai roghi, dalla lotta all’eresia e dall’abiura, ottenuta con ogni mezzo – e a Firenze dalle lotte intestine. Il rosso – che domina il palco – non è simbolo d’amore ma rimanda inevitabilmente al sangue, quello che scorre per le strade e divora la città del giglio.
Un cambio di luci – uno dei tanti, ognuno pregnante – e siamo immersi in un altro quadro, quello che racconta dell’animale da soma, dell’asino di Apuleio, partecipe involontario ma consapevole delle vicende umane, usato dai molti alla bisogna, ma disprezzato e sinonimo di pochezza e ignoranza, dimenticandone così la mansuetudine, quella mitezza che, sola, porta alla ragione e alla capacità di sopportare, stoicamente, l’esistenza.
La musica – che accompagna l’azione vocale per l’intera durata dello spettacolo (firmata da Luigi Ceccarelli) – improvvisamente esplode, non più avvolgente, ma preludio a un atto d’accusa che viene dal profondo, dalle viscere, e sgorga come necessità immanente e ineludibile. I soldi e la guerra, gli uomini di potere che la provocano e la determinano mentre i popoli la combattono e la subiscono – sempre più numerosi e inermi con il passare dei secoli. Diritti umani, veri – ma più spesso presunti – da difendere e affermare non attraverso il dialogo, bensì bombardando interi Paesi, affamandoli con sanzioni che colpiscono, sempre e soprattutto, le classi meno abbienti. Un inferno dantesco, quello che viviamo, nel quale è difficile individuare chi non sia coinvolto per il proprio tornaconto – dal politicante di turno alle sette sorelle. Sottolineato da tutta la veemenza della quale è capace la voce di Ermanna Montanari, vediamo ergersi l’impero della finanza: lo spread, il pil, le quotazioni di borsa, i grafici e i truffatori in colletto bianco che dirigono più o meno occultamente la politica mondiale – in un sistema economico che, come afferma l’attivista Wayne Grytting: “stiamo mantenendo i bonus dei top manager allo scopo di venire… licenziati”. Si vende e si compra il nulla, si scommette sul futuro desertificando il presente, ma il conto finale è sempre a nostro carico. Ma quelli che appaiono come numeri asettici, pura matematica, è la voce di Ermanna Montanari (e il testo di Marco Martinelli) a svelarli nei loro risvolti reali di carne e lavoro, guerre e distruzione.
Musiche (da notare la tromba dal vivo di Simone Marzocchi), rumori, immagini, giochi di luci e ombre, voce, uso del dialetto o dell’italiano sono un tutt’uno che avvolge ma non consola perché questo polittico, scritto da Marco Martinelli, svolge la sua fitta trama denunciando e irridendo – con tutta la forza del teatro. La musica dal vivo, in particolare, partecipa anch’essa alla tessitura di questo complesso arazzo che fa della multimedialità lo strumento per arrivare e coinvolgere gli spettatori. Così come l’alternanza delle situazioni e degli stati d’animo ci dona anche l’accorato appello della figlia del poeta che, persa nella nebbia, appare per ricordarci – un po’ come Pia de’ Tolomei – di sé e del suo amore per la figura del padre; quell’amore, universale, che abiterebbe tutto e tutti, genti e armenti – il solo in grado di far superare le proprie paure.
Ma il ritorno della cappa nebbiosa suggerisce anche il ritorno dal viaggio, quello della propria esistenza, e nel contempo ne preannuncia uno nuovo – che la prossima estate farà di Ravenna il palcoscenico del Purgatorio. Uno spettacolo che toglie il fiato, coinvolgente e convincente, senza incrinature, immagine di un universo narrativo nel quale, piano piano e nonostante i sussulti, ci ritroviamo coinvolti.
Pubblicato (con minime modifiche) su Artalks.net, il 7 dicembre 2018
In copertina: Una scena dello spettacolo. Foto di Enrico Fedrigoli (gentilmente fornita dall’Ufficio stampa del teatro delle Albe).