Dal Centre Pompidou a Palazzo Blu, il Surrealismo targato 1929
di Luciano Uggè
Palazzo Blu, sulle rive dell’Arno pisano, focalizza la mostra autunnale di quest’anno su un particolare periodo storico, contrassegnato dal Wall Street Crash a livello finanziario, ma ricchissimo per l’universo artistico surrealista: il 1929.
In occasione dei dieci anni di presenza sul territorio pisano, Palazzo Blu inaugura un’esposizione davvero originale. Protagonista non è infatti un artista (come accaduto negli anni passati con Henri de Toulouse-Lautrec o Maurits Cornelis Escher) o un movimento artistico nel suo insieme, bensì una parentesi sospesa nel tempo che sarà, però, foriera di tragedie – dalla Grande Depressione statunitense alla nascita delle dittature fasciste e naziste in Europa. Tra il 1928 e il 1929, il biennio sul quale si è concentrata l’attenzione del curatore, Didier Ottinger (direttore aggiunto del Centre Pompidou), il movimento Surrealista entra, infatti, in una fase di conferma delle proprie poetiche ed espansione, grazie ai nuovi apporti di figure di spicco del mondo delle arti figurative, ma legate anche al cinema, alla letteratura e alla fotografia.
La mostra pisana si pone l’obiettivo di rendere tangibile al pubblico, attraverso una corposa documentazione scritta, ma anche foto, opere cinematografiche, e ovviamente sculture e dipinti, la complessità del movimento – tra realizzazioni pratiche e istanze teoriche. Il primo Manifesto del Surrealismo, datato 1924, redatto da André Breton e sottoscritto, tra gli altri, da Louis Aragon e Paul Éluard (il che denuncia l’importanza della poesia all’interno della corrente artistica), conservato in una teca proprio all’inizio del percorso espositivo, ne sancisce l’avvio a livello letterario. Ma sarà solamente in seguito, grazie al saggio sempre di Breton, Il surrealismo e la pittura, datato 1928, che il Surrealismo inizierà a dialogare con le altre arti. E da questo momento prende anche avvio quella parentesi, sospesa nel tempo, che è la mostra pisana.
Le prime immagini ad accompagnare il visitatore sono le fototessere di alcuni tra i protagonisti del Surrealismo dell’epoca – quasi a sottolineare l’importanza dei nuovi mezzi nella sua fase espansiva. L.H.O.O.Q. (La Joconde), del 1930, replica del ready-made del ’19, è la prima opera in mostra e, nell’immediatezza sfrontata di Marcel Duchamp, si ravvisano alcune delle caratteristiche che renderanno così popolare il movimento. Bastano baffetti e pizzetto a stravolgere la ieratica ambiguità del capolavoro di Leonardo, a capovolgere il sentire comune fino a renderlo straniante.
La masque e le miroir (Solitude du diable, 1930/45), olio su compensato, anticipa i successivi lavori di Francis Picabia, laddove la maschera si riflette nell’uomo/modello ed entrambi sembrano perdersi in un labirinto della mente e della forma. Tra le opere che confermano tali suggestioni, da notare Sans titre [Transparence (Visages)], sempre di Picabia, un pastello a cera su carta del 1930 circa, dove i tratteggi dei volti che si intersecano rimandano a tematiche dualistiche quali mascolino/femminino, realtà/doppio, linea/materia. E questo gioco duale, insieme artistico e metaforico, si specchia (anche simbolicamente) nelle due sculture di Alexander Calder (Mary Einstein e Masque, entrambe del 1929, in filo di ferro) che, grazie all’illuminazione, proiettano sulla parete bianca di Palazzo Blu quattro immagini contrapposte, quasi a sottolineare lo sdoppiamento dell’io tra conscio e inconscio indagato dal Surrealismo.
Tra i quadri più facilmente riconoscibili, due Magritte noti anche al grande pubblico. Le double secret (olio su tela, 1927) che, seppure antecedente, ben esemplifica alcune tra le tematiche in mostra – e, non a caso, contrassegna con la propria immagine l’intera esposizione – e Le modèle rouge (olio su tela applicata su cartone, 1935), che rimanda a quelle sostituzioni che lo renderanno famoso (dalla gabbia con l’uovo in poi).
Undici anni prima che Breton coniasse per Dalí il soprannome Avida Dollars, il pittore catalano, pienamente partecipe del movimento, firmava L’Âne pourri (olio, sabbia e ghiaia su masonite, 1928). Quest’opera, meno levigata e precisa dei quadri che lo renderanno celebre, mostra peculiarità da non sottovalutare e che non si ritroveranno nel prosieguo della sua carriera. Dall’uso di materiali diversi che restituiscono una consistenza materica a una libertà nella trattazione delle forme che non mira ad alcuna restituzione figurativa, bensì a porgere l’incubo nella sua purezza.
Tra i nuclei tematici anche il focus sulla fotografia e il cinema surrealista e l’ampio spazio dato a Man Ray – del quale sono esposte anche le opere erotiche, quali i manichini Mr and Mrs Woodman(1927/45, stampe alla gelatina ai sali d’argento); oltre agli spezzoni di Un chien andalou, il capolavoro surrealista firmato da Luis Buñuel nel 1929.
Tra Picasso e Yves Tanguy, da notare l’opus di Max Ernst. In primis, Chimère (olio su tela, 1928) dove le figure mitologiche si fondono in un’ibridazione che contraddistinguerà il percorso artistico e la ricerca di Ernst, sempre teso a trovare nel proprio mezzo, la pittura, forme e modi che possano trasporre la scrittura automatica di Breton in poesia. E ancora, tutte da godere, le dieci incisioni ritagliate su carte o cartone, con le quali Ernst decorò La femme 100 têtes (1929).
Ma la mostra (il cui titolo per intero è Da Magritte a Duchamp 1929: Il Grande Surrealismo dal Centre Pompidou, a cura di Didier Ottinger) non finisce qui e al visitatore consigliamo di vederla più volte per inabissarsi, tra conscio e inconscio, nella duplice visione dell’universo surrealista.
Pubblicata (con minime modifiche) su Artalks.net, l’11 ottobre 2018
In copertina: Particolare del banner ufficiale della mostra con un’opera di René Magritte, Palazzo Blu, Pisa, dall’11 ottobre 2018 al 17 febbraio 2019.