And the winner is…
di Luciano Uggè
Ottomila euro e l’accompagnamento alla distribuzione in premio al vincitore della seconda edizione del Bando, ideato dalla Corte Ospitale di Rubiera.
La bucolica località di Rubiera fa da cornice al progetto teatrale Forever Young, che prevede la partecipazione di sei compagnie con altrettanti spettacoli di drammaturgia contemporanea selezionati grazie al bando omonimo tra un centinaio di proposte. Alla Compagnia vincitrice, oltre al premio in denaro e alla messinscena dello spettacolo all’Elfo Puccini di Milano, è garantito l’impegno, da parte della Corte Ospitale, di un anno di attività per la distribuzione su tutto il territorio nazionale.
Venerdì 12 luglio, il primo appuntamento è con la Compagnia Evoè Teatro con il lavoro Il Drago d’oro di Roland Schimmelpfennig. Uno spettacolo che cerca di inquadrare e denunciare lo sfruttamento e la mancanza di coperture assicurative dei lavoratori (soprattutto migranti senza permesso di soggiorno) di un ipotetico ristorante thai-cino-vietnamita. È un susseguirsi di portate, piatti preparati e descritti all’istante, sull’interessante (dal punto di vista scenografico) piattaforma/griglia al centro del palco. Ma attorno al Drago d’oro pullula un mondo altro – un intreccio di rapporti sempre sul punto di degenerare. La mancanza di denaro, o lo sperpero dello stesso, ingenerano relazioni non paritarie, intessuti di soprusi e richieste di sottomissione dove l’affetto diventa, purtroppo, un aspetto secondario. Ci si approfitta di qualsiasi cosa o persona che ruoti all’interno di questo microcosmo, coinvolgendo anche lavoratori/trici normalmente considerati/e estranei/e a queste situazioni, con risvolti che non lasciano possibilità di riscatto o comprensione. Un ritmo sostenuto, a volte caotico, ma coerente con l’ambiente rappresentato, per uno spettacolo che abbisogna di maggiore elaborazione e interconnessione tra le varie situazioni. Una recitazione un po’ troppo verbosa e prevedibile che, in alcuni frangenti, spezza il ritmo ma con un finale (sugli applausi) inaspettato e goliardico.
A seguire va in scena la Compagnia Òyes – l’unica a presentare un testo proprio. Schianto è uno spettacolo interessante, e sicuramente originale, sulle frustrazioni che vivono le nuove generazioni e sulla mancanza, ai loro occhi, di prospettive credibili. La proposta di rottura è valida, così come il riferimento alla sottomissione alle logiche che i mezzi di comunicazione di massa, differenti a seconda delle generazioni, instillano in modo asfissiante. L’incomunicabilità traspare ovunque così come la difficoltà nel rapportarsi in modo costruttivo. Uccidi il padre (o Batman) se vuoi liberarti da questi vincoli (esemplare, in questo senso, la lezione di Blade Runner), non è l’unico spunto degno di nota dello spettacolo. Altrettanto interessante la scena onirico-surreale dell’incidente stradale, che modificherà, in modo significativo, il percorso di vita lineare di coloro che vi saranno coinvolti. Una scenografia che rende al meglio il senso (e i simbolismi) dello spettacolo, sottolineandone i momenti drammatici grazie anche all’uso delle luci. Attori sempre puntuali e precisi e una convincente Francesca Gemma, brava anche quando si cimenta nel canto. Una figura di donna che si nutre delle difficoltà e ansie altrui, senza sciorinare facili risposte o menzogne di conforto ai problemi di coloro nei quali si imbatte.
Ultimo lavoro della serata quello della Compagnia DAF-Teatro dell’esatta fantasia, intitolato semplicemente X. Un viaggio fuori dal tempo, almeno quello che noi consideriamo tale, e i legami con le nostre abitudini in relazione a esso. I cinque membri di una ipotetica stazione su Plutone, abbandonati tra atmosfere rarefatte – che il sottile telo in “proscenio” e il “campo lungo”, quasi cinematografico, che crea l’ambiente in cui è ospitato lo spettacolo, rendono ancora più evidenti – tentano di rimanere vivi aggrappandosi ai ricordi di una Terra, che si è profondamente modificata nel corso di una sola generazione. Gli alberi, ormai un mito, e il racconto che li riguarda sostituiscono, nell’immaginario del gruppo, i libri tramandati oralmente in Fahrenheit 451, così come il canto degli uccelli anch’essi estinti. Non c’è soluzione, guasti tecnici aumentano l’ansia e si insinuano nelle relazioni, il reale e l’irreale si confondono, le visioni sostituiscono la percezione dei sensi, la Terra in balia dei terribili cambiamenti cimatici esce di scena assieme alla prospettiva di un ritorno. Il peso insopportabile della situazione porta a una selettiva ma inesorabile fine dei partecipanti alla spedizione. Anche la drammaturgia gioca con il tempo, la X iniziale è anche quella del finale, quella che lascerebbe sola l’ultima superstite se si evitasse l’introduzione di un nuovo personaggio – eccessivamente consolatorio. Buone le luci, così come la recitazione, per uno spettacolo che ha forse qualche lungaggine di troppo.
Si inizia fin dal mattino con la visione degli altri tre spettacoli. Il primo, The dead dogs, presentato dalla Compagnia Thea Della Valle/Irene Petris (la prima anche traduttrice del testo di Jon Fosse). Uno spettacolo accompagnato da proiezioni di immagini e didascalie che poco aggiungono all’aspetto teatrale improntato all’inazione e all’incomunicabilità dei protagonisti che, sotto un’apparente normalità, celano situazione e ricordi che non saranno mai svelati. La messinscena scabra ed essenziale, anche troppo, si scontra con la rumoristica che, al contrario, tende a rappresentare la disconnessione tra i partecipanti e i loro pensieri. Sempre in parte gli attori, con pause e battute sempre ben cadenzate, che causano un effetto straniante – accentuando la risibilità dei tentativi di imbastire una discussione autentica. Uno spettacolo che si dilunga nel finale, già prevedibile sin dal racconto del cognato, e che sembra doversi concludere con l’esplosione di rabbia del protagonista, ben costruita, e la sepoltura del cane. Uno spettacolo che necessita di una migliore teatralizzazione e un affinamento delle dinamiche di scena.
Nella sala Teatrale, intorno a mezzogiorno, va in scena Growth-Crescita della Compagnia Pierfrancesco Pisani su testo di Luke Norris. Il tema è la malattia e come essa possa modificare le persone (comune a molti drammi e sceneggiature). Qui è utilizzata per raccontare le peripezie di un giovane al quale stanno crollando, quasi contemporaneamente, una serie di certezze – vere o presunte che siano. Due attorii si alternano nei ruoli – accanto al protagonista sempre in scena – in un serrato e caleidoscopico numero di personaggi, sempre individuabili grazie alla drammaturgia e all’abilità degli attori di immedesimarvisi. Amori perduti o mai trasformati in un vero rapporto; le difficoltà con il sesso e gli organi riproduttivi ammalati – tipiche dell’universo maschile; la mancanza di empatia tra paziente e medico. Il palcoscenico, spoglio e quasi privo di giochi di luci – scelta segnalata nelle note di regia come escamotage per rendere il testo il protagonista principale – lascia un po’ perplessi, in quanto sembra più adatto a un teatro di strada che a una messinscena. La precarietà imperante non è combattuta ma aggirata, in una ricerca di accomodamenti che rimandano le scelte radicali. L’uscita dal modello avviene solo nel finale, non come presa di coscienza ma quasi casualmente, grazie alla risoluzione della malattia – e per un incontro fortuito.
Conclude la rassegna Ovid Hotel della Compagnia Giuliano Scarpinato/Wanderlust Teatro, liberamente ispirato al film The Lobster. Accoppiarsi o trasformarsi, questo l’imperativo al quale devono sottostare i partecipanti a un gioco al massacro. In un ipotetico albergo, o clinica, una serie di prove daranno la possibilità di manifestare le proprie esigenze – in contrasto, in alcuni casi, con le altrui – sino alle terribili conseguenze. Lo spettacolo non prende mai il ritmo giusto e sembra avvitarsi su se stesso piuttosto che generare situazioni credibili. Il grottesco fatica a emergere nonostante i tentativi. Il risultato rimanda a una serie di sketch più che a uno spettacolo omogeneo e anche la presenza di un personaggio con problemi psico-motori non riesce a far virare lo spettacolo verso una china paradossale – dilungandosi, al contrario, in una serie di rapporti tragici.
Forever Young 2017/18 ha dato la possibilità, agli spettatori, di vedere in scena compagini con non meno di tre attori in scena. Una condizione non usuale, di questi tempi, che ha permesso alla stesse di misurarsi con allestimenti e drammaturgie interessanti. Spettacolo vincitore è risultato The dead dogs, con la seguente motivazione: “un testo scelto con coerenza rispetto alle linee guida del bando, che affronta il tema delle relazioni irrisolte all’interno della famiglia e della violenza latente che in generale serpeggia nella società contemporanea. Lo spettacolo, pur con ancora ulteriori potenzialità di crescita, già mette in evidenza una regia nitida e compiuta e ha come punto di forza un gruppo di attori e attrici di talento, soprattutto nella capacità di sostenere i ritmi e i ‘non detti’ tipici della scrittura di Fosse”. Menzioni speciali per Growth e Schianto. Applausi per tutti.
Pubblicato su Artalks.net, il 15 settembre 2018
In copertina: Schianto, Oyes. Foto di Antonio Ficai (tutti i diritti riservati).