La mostra per il centenario della nascita di Bruno Zevi e un confronto tra opere che chiude il percorso Eco e Narciso, iniziato alle Gallerie Barberini e Corsini
di Simona Maria Frigerio
Entrando nelle sale al piano terra del Museo d’Arte del XXI secolo, non si può non soffermarsi su Senza titolo (Triplo igloo, 1984/2002), di Mario Merz. Qui il concetto – rappresentato dalla serie di Fibonacci (neon) – si specchia nel flusso (e del resto il pensiero è in se stesso concetto fluido) dell’esistenza umana, nella sua fragilità intrinseca (vetro), eppure nel suo desiderio di stabilità (morsetti in ferro). I tre igloo di Merz sono espressione artistica altamente metaforica persino nella scelta dei materiali e l’opera, di una perfezione estetica altamente significante, sembra quasi introdurre il discorso su ritratto e autoritratto (di Eco e Narciso), trasposto a livello di arte-concetto/società.
Nel prosieguo anche 19 fotografie in bianco e nero di Letizia Battaglia, realizzate tra l’83 e il 2016 nell’Ospedale Psichiatrico di Palermo. Ritratti di persone, di solitudini, espressioni al limite tra dolore e speranza, pudore e sfrontatezza, abbandono e tragica consapevolezza. Uno o diciannove, tutti gli sguardi fissano il visitatore, interrogandolo, specchiando le sue paure più profonde e ataviche.
Ed ecco che, all’interno della Collezione Permanente del Maxxi, che si affronta anche il tema del ritratto e dell’autoritratto come rispecchiamento metaforico e culturale. Un dialogo tra le collezioni delle Gallerie Barberini e Corsini e del Maxxi, che continuerà nelle Gallerie Nazionali d’Arte Antica fino al 28 ottobre, intitolato Eco e Narciso. Purtroppo di questo dialogo, sulla carta molto interessante, il Maxxi ospita una sola opera, La velata (Vestale Tuccia, 1743, marmo) di Antonio Corradini, a confronto con VB74 (2014/18, C-print digitale montata su diasec) di Vanessa Beecroft. Se l’opera del Settecento presenta un panneggio voluttuoso con un modellato che, sul volto e i seni, raggiunge quasi il capolavoro del Cristo velato (pur non arrivando a quella leggerezza che lo ha reso, seppur tardivamente, famoso in tutto il mondo), l’opera contemporanea sembra denunciare la presenza del velo come costrizione, imposta o scelta, che comunque separa e quasi esclude. Il resto dell’esposizione, purtroppo – e come scrivevamo – solo alle Gallerie Barberini e Corsini. Il dialogo tra classico e contemporaneo si ferma qui, nell’esposizione permanente del Maxxi (in realtà, semi, dato che le opere ruotano). Ma un solo esempio è davvero troppo poco per apprezzare l’operazione curatorale.
A questo punto il tentativo di dialogo tra opere dell’antichità e del XXI secolo si intreccia con quello tra arti. Non a caso tra i pezzi della permanente una sezione è dedicata ai progetti – mai realizzati – del ponte sullo Stretto di Messina. Arti plastiche tra esempi di ingegneristica e architettura. Tra i più interessanti, il progetto – secondo premio ex aequo – di Pier Luigi Nervi (1969) per un ponte sospeso a campata unica; e la soluzione di Giuseppe Perugini che propone un anello sospeso sullo Stretto, collegato a strutture multifunzionali ancorate a terra, il che permetterebbe di coniugare attività produttive e di servizio alla viabilità stradale e ferroviaria con un’ottimizzazione di spazi e tempi. In mostra anche modelli e realizzazioni (presenti in video) delle Stazioni della nuova Metropolitana di Napoli.
Quasi senza soluzione di continuità, al secondo piano si dispiega una ricca mostra antologica dedicata ai cento anni di Bruno Zevi, Gli architetti di Zevi. Storia e controstoria dell’architettura italiana 1944-2000. Dalla sua biografia, alle sue idee (espresse in riviste, libri e programmi televisivi di tempi in cui la tv aveva anche un alto contenuto culturale), fino ai progetti di architetti che Zevi ha apprezzato curandone mostre o divulgandone i lavori. L’architettura organica diventa, grazie alla capacità divulgativa e alla verve di Zevi, una materia non solo comprensibile, anche per i non addetti ai lavori, ma interessante perché direttamente connessa con la società che la esprime e le necessità degli uomini e donne che la abitano.
Due ali del Maxxi risultano, al contrario, chiuse – in attesa di mostre che si apriranno il 22 giugno prossimo.
Nel complesso la visita al Maxxi risulta interessante più per gli addetti ai lavori e i collezionisti che per il grande pubblico. La struttura, progettata da Zaha Hadid, ariosa e scenografica, è abbastanza dispersiva e la scelta di una permanente che giustappone suggestioni e artisti senza una base organica, dà l’impressione – magari erronea – più di una galleria privata d’arte contemporanea tesa alla valorizzazione degli artisti in catalogo, che di un’esposizione in grado di dare strumenti a un pubblico più ampio per avvicinarsi alle espressioni artistiche in fieri.
Anche la scelta, seppur comprensibile per motivi di allestimento, di lasciare in alcuni periodi dell’anno intere ali chiuse suscita qualche perplessità in quanto rende lo spazio pienamente godibile solo a momenti, deludendo chi pensa di entrare al Maxxi per uno sguardo a 360° sulle arti contemporanee. In questi giorni – ad esempio – il museo è soprattutto inteso per una fruizione settoriale di architetti, ingegneri e urbanisti. Una visione, quindi, molto interessante ma parziale.
Pubblicato su Artalks.net, il 14 giugno 2018
In copertina: il Maxxi di Roma. Foto di Tasos Lekkas da Pixabay.