A Palazzo Strozzi la mostra antologica con il meglio dell’arte italiana dal Dopoguerra agli anni 70
di Luciano Uggè
Un’interessante esposizione, quella fiorentina, che sorprende per il contenuto, in quanto la maggior parte delle opere esposte si concentra tra gli inizi degli anni 50 e i primi ‘70.
Fa eccezione, nella mostra, il video all’ingresso che tenta una collocazione temporale della stessa partendo dalla breccia di Porta Pia, per giungere al ‘68/69 – anni delle lotte studentesche ed operaie e delle mobilitazioni per la strage di Piazza Fontana a Milano, legata alla Strategia della tensione (messa in atto dai poteri forti proprio in quegli anni). Un excursus che accenna alla Resistenza, ma che si concentra sul periodo del boom economico e della massificazione dei prodotti e dell’informazione. In questo senso si può leggere anche l’inserimento, nel video, della figura di Pier Paolo Pasolini, acutamente critico verso ciò che stava avvenendo nella società a lui contemporanea e circa l’appiattimento e l’omologazione degli italiani – più che per una sua lettera al Corriere della Sera, in occasione degli scontri a Valle Giulia.
Tra gli schermi è collocata una tra le opere dedicate a La battaglia di Ponte dell’Ammiraglio (Renato Guttuso, 1955). Il pittore neorealista di idee socialiste che, successivamente, sarà legato al Partito Comunista italiano, con questo quadro vuole testimoniare la lotta dei garibaldini durante la liberazione dai Borboni del Sud Italia. Una scelta estetica (oltre che etica), questa, da realismo socialista, che si discosta dalla maggior parte delle opere in mostra, firmate da artisti che scelgono nuove strade per manifestare i propri sentimenti, e il disagio per gli avvenimenti coevi, spesso in contrapposizione con le posizioni ufficiali della Sinistra culturale italiana e del Pci, in particolare, in quanto portatori di un messaggio non immediatamente fruibile dalle masse. Il manifesto di Mussolini strappato e ricomposto in un décollage di Mimmo Rotella, L’ultimo dei Re (tela, manifesti e colla, 1961), ne è un chiaro esempio. Anche nella scultura si cerca la stilizzazione proponendo assemblaggi di oggetti di uso quotidiano e forme geometriche primarie: vedasi l’opera di Ettore Colla, Archimede II (ferro, 1960). E ancora, nella stessa sala, Enrico Baj con Generale incitante alla battaglia (olio, collage, passamaneria, decorazioni su stoffa, 1961), che mette alla berlina il potere militare e, più genericamente, quello politico.
In una stanza successiva Giulio Turcato, con l’opera Comizio (olio su tela, 1950), anticipa secondo forme proprie il nascente astrattismo formale italiano. Da questo primo quadro traspare un’adesione alle idee di cambiamento nate dalla Resistenza. Appartenente alla stessa corrente pittorica (aderenti entrambi al gruppo degli Otto), di Emilio Vedova è esposto Scontro di situazioni (tempera, carboncino e sabbia su tela, ‘59-II-I), opera di grandi dimensioni che mostra un mondo in violenta mutazione attraverso gesti e segni che si contrappongono in blocchi ben individuabili. Più pacata ma altrettanto ricca di significati l’opera di Alberto Burri, Sacco e oro (tela, filo acrilico, foglia d’oro e PVA su tessuto nero, 1953), ove sembra di intravedere un piccolo gruppo di arricchiti che resistono e dominano su un mare di povertà – che ribolle ma non riesce a ribellarsi.
Lo scultore Mirko Basaldella con Geremia (cemento, 1957) mostra la sua ricerca di nuove forme, utilizzando un materiale che, freneticamente consumato, sconvolgerà – nel bene e nel male – la morfologia fisica e l’urbanistica del nostro Paese. Alla magniloquenza e al consumismo che avanza si contrappone anche l’arte povera di Michelangelo Pistoletto con Quadro da pranzo (Oggetti in meno) in legno (1965), dove una casa/cucina/quadro invita il visitatore a entrare per completare l’opera, sedendosi a tavola.
All’improvviso si è immersi in una sala di un bianco cangiante con, tra gli altri, gli Achrome di Piero Manzoni (anni ‘62/63), costruiti utilizzando materiali di vario genere, commestibili e non, trattati per renderli non degradabili e dipinti con il caolino, come il supporto sul quale sono disposti. Sempre di Manzoni, un Achrome (tela grinzata e caolino, 1959), che appare come una superficie increspata e, grazie alle ombre che crea, sembra quasi in movimento. Di Pietro Consagra, nella stessa sala dedicata al monocromo, Ferro trasparente bianco II (lastre di ferro tagliate, curvate, saldate e dipinte, 1966). Un’immagine di leggerezza e fragilità accentuata dal monocromatismo del bianco su bianco, quasi un fiore a dispetto della rigidità e robustezza del materiale utilizzato: autentica sublimazione artistica di una pesantezza insieme fisica e gravitazionale.
Angelo Savelli con Ovale #3 (olio, sabbia e sughero su tela, 1960) amalgama le forme assemblandole quasi fossero un’evoluzione di un pacato giardino giapponese.
La scultura di Mario Merz, che campeggia al centro di una sala buia, S.T. (due bottiglie, neon, trasformatore e plastica, 1967) è un richiamo alla ciclicità della vita, della storia collettiva ma anche di quella personale, intessuta di piccoli gesti quotidiani. In un’altra sala, Mimetico (tela mimetica militare, 1967) di Alighiero Boetti, opera da situarsi durante gli anni della Guerra statunitense in Vietnam: una denuncia del militarismo grazie all’utilizzo della legge del contrappasso, ossia dei simboli più conosciuti ed esibiti dai vari eserciti.
Molte altre opere sono da scoprire in questa esposizione, che riunisce diversi pittori e scultori che operarono per un cambiamento all’interno della società in modo coerente con gli ideali della guerra di Liberazione. Un’arte spesso ostica da interpretare ma che evitava la banalizzazione dei messaggi, grazie a ricerche artistiche e linguistiche tese a rappresentare forti sentimenti di opposizione al potere e alla mercificazione del lavoro creativo.
Pubblicato su Artalks.net, il 19 maggio 2018
In copertina: Banner della mostra Nascita di una nazione, 16 marzo 2018/22 luglio 2018, Palazzo Strozzi, Firenze (gentilmente fornita dall’Ufficio stampa)