Capolavori del Museo Picasso al Palazzo Ducale di Genova
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
La bella mostra dedicata al maestro malagueño, fino a maggio 2018 negli spazi di Palazzo Ducale a Genova, offre uno spaccato del lavoro di Picasso attraverso i quadri che scelse di non vendere e che accompagnarono il suo cammino nei tanti atelier che occupò nella sua lunga carriera.
L’esposizione, che si giova di un corposo apparato fotografico che mostra i diversi studi nei quali lavorò Picasso (con stampe ai sali d’argento), inizia con la serie dedicata agli autoritratti dell’artista, che dal 1906 al ’72 (ossia dalla fine del periodo rosa fino a pochi mesi prima della sua morte), dimostrano il suo interesse non solo per la sua figura di uomo, quanto per la sua posizione nel mondo, con quei rimandi alla tavolozza, al pennello, al lavoro insieme ideativo e materico, che lo ha sempre contraddistinto – fino a spingerlo, all’età di 65 anni, a imparare a modellare la creta e a colorare e cuocere le sue ceramiche. E non sarà un caso che Robert Doisneau abbia ritratto il maestro seduto a tavola, davanti a un piatto di ceramica, con dei panini al posto delle mani.
Tornando a Genova, la seconda sezione della mostra è dedicata al suo rapporto con le donne. Tra le tele, si distingue Il pittore e la modella (Parigi, 1926, olio su tela), ove si intravedono forme e stilemi che saranno resi famosi a livello internazionale con il successivo Guernica (1937), quali la sovrapposizione di frontale e profilo – a simboleggiare, in questo caso, la comunione fisica e spirituale tra modella e pittore, o soggetto e artista; l’importanza a livello iconografico delle mani – quale strumento indispensabile del fare arte; il volto (della modella) incorniciato/assunto nella tela (sulla sinistra) – per identificare soggetto e opera; oltre alla scelta della gamma dei grigi (con passaggi dal bianco al nero) quasi a sottolineare la continuità/fluidità delle forme e dei personaggi (che, in Guernica, interesserà la tematica). In mostra anche Nudo seduto (Parigi, inverno 1906/07, olio su tela), uno studio per Les Demoiselles d’Avignon (1907), ove, su un torso maschile, si erge un volto muliebre, chiaramente ispirato alle maschere africane. Da notare la grande libertà dell’artista nella composizione, tale da fargli posizionare il soggetto troppo in alto, così che parte della capigliatura è tagliata fuori dalla tela.
Per il tema delle bagnanti, caro alla pittura (basti ricordare le opere di Ingres e Renoir), in mostra alcuni piccoli quadri dedicati alla musa/amante di Picasso, Marie-Thérèse Walter, tra il ‘27 e il ‘29. Accanto a Le bagnanti (Biarritz, 1918, olio su tela), dove un volto girato di profilo che guarda il cielo rimanda inequivocabilmente a Guernica, si susseguono le piccole tele che fanno da sfondo a una serie di figure geometriche, quali Bagnanti sulla spiaggia (Dinard, 12 agosto 1928, olio su tela), matericamente cromatico grazie alla scelta dei toni arena/sabbia e che restituisce ai corpi trasfigurati la consistenza di terrecotte bruciate dal sole. Alcuni motivi (come la piccola cabina o la chiave) rimandano chiaramente a elementi surrealisti o ad Alice nel Paese delle Meraviglie (invito, implicito o esplicito, all’amante a varcare la porta e trovarsi in un luogo altro e appartato). Dal ‘29 le figure si allungano, assumono un aspetto più curvilineo, sinuoso, antropomorfico. Mentre in Bagnante con pallone(Dinard, 1° settembre 1929, olio su tela) è nuovamente evidente l’influenza surrealista, e i colori morandiani esaltano la fissità iconica della figura con il tono su tono (sabbia, beige, bianco).
Una sala a parte quella che comprende due opere di enorme valore anche a livello documentale, testimoniando il lavoro ma soprattutto le emozioni di Picasso durante la Seconda guerra mondiale. Boccale e scheletro (Parigi, 18 febbraio 1945, olio su tela) arriva al termine del conflitto ma reca con sé diversi elementi e motivi di dolore: è un memento mori, caricato con toni grigio plumbeo, decisamente funerei; e alcune costole di animale (forse), che rimandano inevitabilmente al Bue macellato di Rembrandt. Le forme geometriche sono appesantite da volumi massicci e la sensazione che si prova osservando la tela è quella di dolorosa compartecipazione, di un’insostenibile pesantezza dell’essere. L’opera è da confrontare con Caffè a Royan (Royan, Ferragosto del ’40, olio su tela), dipinta all’inizio del conflitto mondiale, ornata riccamente da una gamma coloristica brillante, che porta sulle rive dell’Atlantico i colori solari del Midi. Eppure, anche qui vi sono i presagi dell’ecatombe che porterà la guerra con quegli scuri blu che coprono le finestre del locale, posizionato al centro della scena. Il paesaggio (tema poco frequentato da Picasso e che, al contrario, in mostra trova un altro esempio di grande valore in La baia di Cannes), si distende in un’ampia composizione geometrica à la Cézanne con indubbi rimandi, per la sgargiante scelta cromatica, al Futurismo (soprattutto al Severini del primo periodo parigino) e al Derain Fauve.
Tra i quadri in mostra, dedicati alle sue modelle/amanti, spicca la foto con i molteplici ritratti di Dora Maar (Parigi, 1939). Ed è il Ritratto di Dora Maar (Parigi, 1937, olio e pastello su tela) a testimoniare la passione nascente del maestro per la fotografa francese di origini croate, con la quale avrebbe intrattenuto una relazione fino al ’44. I colori sgargianti, e in specie il rosso sanguigno dello smalto sulle unghie e del rossetto sulle labbra, chiaro rimando al tema della passione, contrastano fortemente con i lineamenti morbidi della donna, ulteriormente addolciti dall’uso del pastello. A pochi passi, il coevo Ritratto di Marie-Thérèse (Parigi, 1937, olio e matita su tela), musa/amante lasciata proprio per la Maar, che esprime nella scelta cromatica verde/azzurra e nella morbidità dello sfumato il ricordo insieme malinconico e affettuoso dell’artista per la ex compagna. In entrambi i ritratti, la sovrapposizione del frontale al profilo è pienamente riuscita, dando autentica complessità ed espressività a questi volti di donna, che posseggono una rara naturalezza, quasi fossero ritratti a tre quarti o immortalati in movimento. Questa sensazione di tridimensionalità e realismo è ben supportata dalla posizione della mano a reggere il volto, che conferisce una inusitata naturalezza alla geometrizzazione dei lineamenti.
Gli anni 50 sono raccontati dai quadri su ampie superfici, che si moltiplicano in questo periodo anche grazie al nuovo atelier di Picasso. La baia di Cannes (di cui abbiamo già scritto, Cannes, 1958, olio su tela) è forse l’esempio più interessante in mostra e testimonia il talento di Picasso nel trattare un tema che, purtroppo, non è mai stato tra le sue ossessioni d’artista. Il panorama (probabilmente visto da una terrazza a un piano alto) si compone di diagonali intersecantesi senza, per questo, discostarsi dalla scelta di un appiattimento dimensionale e dal rifiuto prospettico, mentre da lontano la restituzione della marea pare fluire in onde successive proprio grazie alla riproposizione delle stesse diagonali. La linea dell’orizzonte è alta, quasi esterna al quadro. Il bianco, il verde e l’azzurro che imperano indiscussi a livello coloristico rimandano alla solarità del Mediterraneo, alla sua luce piena e accecante: il bianco delle vele si specchia nel bianco della rena e dei balconi, e l’insieme si tuffa in un mare blu o si staglia tra le fronde turgide delle palme in primo piano. Tra le altre opere, in mostra anche Il buffet di Vauvenargues (Vauvenargues, 23/3/39 – 23/1/60, olio su tela) e la fotografia che ne documenta la lenta elaborazione (o, forse, in questo caso, sarebbe meglio parlare di decostruzione). Nel quadro, infatti, si nota sulla destra un busto di statua appoggiato a un piedistallo che, nella fotografia (anteriore all’opera finita), è una figura probabilmente femminile con vassoio e brocca (o altro recipiente). Anche il mobile, centrale nella rappresentazione, passa da una chiara frontalità alla compresenza di due diverse prospettive (laterale e frontale) che lo muovono nello spazio. Quasi che, durante l’elaborazione, Picasso avesse scelto di spostare il fulcro del movimento, ritenuto dalla figura che recava qualcosa alla bambina (sulla sinistra), spostandolo sul mobile – oggetto di per sé inerte – e scegliendo di bloccare la figura sulla destra nella fissità della statua su piedistallo.
Non poteva mancare almeno una testa di toro e, infatti, ecco comparire di fronte agli occhi del visitatore Natura morta con testa di toro (olio su tela, datato sulla tela stessa 28/5/58). I colori brillanti, tra i quali domina il rosso sangue della parete di fondo e il blu del cielo, che si intravede attraverso la finestra aperta, sono i veri protagonisti del quadro, connotato dall’azzeramento prospettico e dal primissimo piano occupato da un vaso con una pianta verde e lussureggiante e da una testa di toro, appoggiata su un tavolo che appare instabile. Qui, la precarietà della vita si tinge dei toni solari dell’estate sul Mediterraneo.
Un’intera sala è dedicata ai ritratti femminili con cappello. Tra i più originali quello di Nusch Éluard (Parigi, 1937, olio su tela). La moglie di Paul, a sua volta artista surrealista, è ritratta con un copricapo quasi clownesco, mentre il suo volto ricomprende la dualità sole/luna, grazie a una netta scelta coloristica che contrappone alla solarità del giallo un azzurro freddo e un verde quasi acido, a connotare ambiguamente il soggetto. Sempre in tema, Donna seduta con cappello (Parigi, 1939, olio su tela), in cui la struttura della sedia – sia a livello di colori che di grafica e volumi – si specchia nei tratti del volto squadrato e nell’incarnato plasticamente geometrizzante. Anche qui, i colori, così come il rigato à la papier collé rimandano indubbiamente al Severini futurista (a riprova dell’importanza, per i creativi, dello studio e dello scambio con colleghi, critici ed estimatori). Da notare ancora la scelta di contrapporre alla pasta grossa e spessa, che caratterizza la resa del volto, la campitura piatta dell’abito (che, nelle ultime tele in mostra, tornerà anche con maggiore evidenza). Alcuni tra i ritratti del ‘39 riportano in primo piano un’astrazione delle forme dei corpi e dei volti, che avevamo già notato nella serie delle bagnanti. In particolare, in Donna con cappello blu (Royan, 1939, olio su tela), la figura di un cavallo sembra emergere dai tratti geometrizzati (occhio, narici, muso). E ancora, decisamente metafisica, Testa di donna (Royen, 1939 olio su tela), soprattutto per quell’orifizio (la bocca in stile L’urlo di Munch) e la sensazione di instabilità suscitata da una parte del volto che si protende all’esterno. Qui, le forme geometriche pure, il tono su tono di grigio su fondo blu – che appare distante eppure incombente grazie al suo sfumato – restituiscono quella complessa sensazione di angosciosa attesa, propria dei manichini di De Chirico e Carrà.
Una sala a parte è dedicata alla rivisitazione de Le déjeuner sur l’herbe di Manet (a cui Picasso dedicò ben 27 quadri, 140 disegni e 3 linoleografie). In mostra, La colazione sull’erba (sul modello di Manet), datata 1960 (un olio su tela dipinto in 5 mesi). Rispetto all’originale, Picasso mantiene ciò che fece scandalo ai tempi di Manet, ossia la contrapposizione della nudità della donna, non giustificata da un’ambientazione mitologica o poetica, alla compostezza dell’uomo che le siede di fronte, uno solo (quello che le siede accanto è scomparso), e che è propriamente vestito. In questo caso, però, entrambe le figure fissano il visitatore e il corpo di lei sembra assumere colori e forme della natura circostante, integrandosi con un’aurea bucolico/trasognata che Manet aveva decisamente rifiutato (come nell’altro suo capolavoro, l’Olympia). Tra i divertissement, le figurine in cartone che ritraggono i vari personaggi della composizione – quasi dei pop-up.
L’ultima tappa per Picasso pittore, e per il visitatore a Genova, è l’atelier di Mougins. Un naturalismo scarno eppure pieno nelle forme, opposto nell’opulenza eppure intrinsecamente vicino nel portato al tratto nervoso à la Egon Schiele (si vedano i peli sotto le ascelle della modella picassiana), contraddistingue Donna con cuscino (1969, olio su tela), ove i toni di grigio ben si sposano con la scabra essenzialità, le campiture piatte e il grande formato. Il tratto grossolano e deciso, i colori primari e la presenza di tela allo stato puro danno forza all’espressività di Donna seduta (1963, olio su tela). Mentre, a pochi passi, il blu mescolato all’azzurro de L’abbraccio (1970, olio su tela), tema frequentato da Picasso, simbolicamente contraddistingue l’unione di maschile e femminile nella complementarietà, laddove le curve sottolineano i volumi e ne sono, a loro volta, esaltate.
L’ultima sala si apre su un’affermazione illuminante del maestro su se stesso (e forse su tutti noi): “Ci vuole un’infinità di tempo per diventare giovani” (da Cent clés pour Picasso, di Claude Thibault, 1984). La mostra si era aperta con foto giovanili dell’artista, che lo ritraevano pensieroso, serio, maturo anzitempo. Le ultime immagini, al contrario, sono quelle dei figli che dipingono o disegnano, e una foto che ritrae un Picasso, anziano eppure pieno di energia vitale, al lavoro accanto alla piccola Paloma. E un bel quadro, Claude che disegna, Françoise e Paloma (1954, olio su tela), che riunisce la ex compagna con i due figli su un fondo nero. La figura della madre (ormai lontana dal cuore dell’artista e, quindi, in qualche modo indistinta dal fondo) è solamente scontornata in bianco, eppure ricomprende in sé i loro bambini. La macchia verde sulla figlia e quella blu sul ragazzino sembrano separare e distinguere le due personalità caratterizzate da tratti che, seppure essenziali e stilizzati, ne denotano le caratteristiche somatiche e le sfumature caratteriali differenti. Con un tratto sicuro e veloce Picasso riesce a restituire contenuto e forma, affetti e ambiguità.
Come citavamo nel titolo: lo studio come processo creativo. Quello di cui ha bisogno qualsiasi artista e che, nel caso dell’artista figurativo, assume il duplice senso di apprendimento e spazio. La mostra di Genova ha il pregio di presentare un percorso fedele al suo intento, restituendoci frammenti di visioni, esperienze, contatti e luoghi vissuti di uno tra gli artisti più pervicacemente vitali del Novecento.
Pubblicato su Artalks.net, il 22 novembre 2017
In copertina: Il Manifesto della mostra.