A Lucca la nuova mostra a cura di Maurizio Vanni
di Luciano Uggè
Al LU.C.C.A. – Lucca Center of Contemporary Art, fino al 18 giugno, una bella esposizione mette a confronto il padre della Pop Art, Andy Warhol, e il meno noto esponente dell’Hyper Pop, Laurence Gartel.
Da qualche tempo, molti centri espositivi propongono mostre che illustrano il lavoro dell’iniziatore della Pop Art – anche se questo termine, nel suo caso, è sicuramente riduttivo. Arriva, quindi, anche a Lucca, una personale su Andy Warhol, nella quale sono presenti anche i lavori di Laurence Gartel che – contrariamente a Warhol, maestro della sintesi – crea composizioni grafiche sovrabbondanti di riferimenti storici, artistici e architettonici, mischiandoli con oggetti di consumo anche di uso quotidiano.
Ma facciamo un passo indietro e indaghiamo chi era Warhol. Per l’artista di Pittsburgh, la serialità non era un mezzo per un consumo di massa delle sue opere, ma aveva lo scopo di fornire al mercato prodotti che – pur con quel tipo di produzione – mantenessero un alto valore aggiunto e, quindi, fossero accessibili a una élite di acquirenti, pubblici o privati. A differenza, per esempio, degli artisti-artigiani del Bauhaus che progettarono e produssero oggetti di uso comune, ma ad alto valore creativo ed esteticamente belli, per un ampio pubblico (oltre a progetti abitativi per le classi meno abbienti). Oppure, nel campo del disegno industriale, a un Depero – geniale nella sua essenzialità, seppure al servizio della giusta incisività del messaggio pubblicitario.
Tornando alla mostra del Lucca Center, escludendo il Self Portrait del 1961 (litografia su carta), la stessa interessa un periodo che va dalla metà degli anni Sessanta sino quasi alla morte dell’artista – grazie al manifesto di un’esposizione a Palazzo delle Stelline, a Milano.
All’inizio della mostra, i celebri ritratti di Mao Zedong e, nella stessa sala, quelli, assurti a icona mondiale, di Marilyn Monroe – che evidenziano le doti artistiche e pittoriche dell’artista. Immagini note e continuamente riproposte ma che si arricchiscono di nuovi particolari ogni qualvolta capiti di osservarne gli originali.
Una parte rilevante della mostra è dedicata ai personaggi del mondo della musica rock. Partendo dalla copertina del disco dei Velvet Underground & Nico (1967), con la celeberrima banana, oppure dalla storica e provocatoria cover del vinile Sticky Fingers (1971) dei Rolling Stones. Mick Jagger è peraltro il soggetto di molti ritratti, tra i quali si segnala quello del ‘71, molto intenso anche se lontano dall’immagine pubblica che accompagna uno tra i cantanti rock più trasgressivi del suo tempo. Da notare anche la Chitarra con Cappello di Michael Jackson, messi sotto vetro assieme a una copia della rivista Time, che lo immortalava in occasione dell’uscita dell’album Thriller, forse il più venduto al mondo.
Un accenno va anche alla stanza dedicata a Interview, dove sono esposte le celebri copertine della rivista, che Andy Warhol fondò, e che vanno dal 1984 al 1987. E ancora, una luce accecante e la soverchia presenza del colore rosso sangue contraddistinguono la serigrafia su carta di Electric Chair (1971), a denunciare la brutalità della pena di morte in una delle rare opere di Warhol legate all’impegno civile.
Con Ladies and Gentlemen (1975), ecco una serie di volti al femminile, proposti con la tecnica tipica dell’artista che usa sovrapporre, al soggetto, macchie di colore che ne accentuano il carattere e catturano l’attenzione dell’osservatore.
Nella molteplicità dei mezzi espressivi utilizzati dal padre della Pop Art, non poteva mancare una sala dedicata al Gonfiabile Campbell’s, degli anni 80, al Grembiule Campbell’s, sempre dello stesso periodo, e a Campbell’s Soup Chicken Noodle (pigmenti serigrafici su carta, 1985), ossia all’oggetto simbolo dei prodotti di massa ai quali Warhol ha dedicato la maggior parte del proprio ingegno creativo. In controtendenza, Turtle (1985), che mostra un’attenzione verso la natura in qualche modo anomala rispetto ai soggetti pop prediletti da Warhol. Originale anche l’uso della prospettiva in un artista che ha prodotto, generalmente, opere a fondo piatto.
La mostra continua con alcuni lavori di Laurence Gartel, un artista digitale che usa la composizione come mezzo di espressione, accomunando simboli legati al presente con particolari di opere, sia pittoriche che scultoree, del passato. Una parte importante delle composizioni è dedicata alla sua visionaria elaborazione di progetti architettonici per una città ideale.
La resa del collage – attraverso la stampa digitale – permette a Gartel di accostare temi e soggetti disparati, come si nota in Millenium Girl, del 1997, o in Grafeeti, del ‘98. In Glory, sempre del ’98, esplode l’uso dei consumi di massa, tanto celebrati dalla pubblicità, unito alla visione della donna tanto cara a una consistente fetta politica e massmediatica dei giorni nostri (vedasi la scritta: “Ciao tesoro…”).
Interessante anche l’immagine della Ferrari, ovviamente rossa, che campeggia sulla riproduzione di un ippodromo. E ancora, le pubblicità della Coca Cola, del 1996, o quella per la Absolut Vodka, dato che Gartel è anche e soprattutto un creatore di immagini per campagne pubblicitarie di importanti brand.
Pubblicato su Artalks.net, il 9 maggio 2017
In copertina: Immagine gentilmente fornita dall’Ufficio stampa della mostra.