Puccini rivisto ma non corretto
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
Al Mauro Bolognini di Pistoia, va in scena l’opera del lucchese trasposta in teatro di figura da Kinkaleri. Ottimo contenitore con un contenuto che, nel finale, lascia l’amaro in bocca.
Uno spettacolo per bambini, a differenza di uno per adulti, va giudicato anche per il suo contenuto pedagogico.
Kinkaleri parte dalla celeberrima (ma anche un po’ vetera) opera pucciniana (su libretto di Illica e Giacosa) per intessere un racconto per bambini dove si uniscono in mirabile armonia canto e recitazione, gioco e invenzioni scenografiche. Un racconto che la voce narrante accenna per sommi capi nel prologo, lasciando però il finale aperto: Cio Cio-san attenderà Pinkerton per tre anni con grande sofferenza.
Sul palco, Marco Mazzoni utilizza varie tecniche, tutte efficaci nel ricostruire di fronte ai nostri occhi, prima, la casa dove Butterfly si sposa e vive i giorni felici con il suo ufficiale statunitense e, poi, un esterno in stile stampa giapponese. Anche le luci, dalla lanterna notturna all’abissale rosso che avvampa intorno a Cio Cio-san quando si suicida (con un seppuko al ventre, quando le donne, per tradizione, si tagliavano la gola) contribuiscono alla suggestione degli spettatori di tutte le età.
Con semplicità di mezzi, inventiva e un’asciuttezza pregevole, la vicenda segue le tappe principali dello sfortunato amore fino all’epilogo, coinvolgendo ed emozionando ma riuscendo anche a strappare qualche risata.
Ottima realizzazione, quindi. Ma c’è un però. Se il segno merita l’applauso, il significato lascia basiti. Qui non ci troviamo di fronte all’opera originale, ma a una riduzione e riscrittura per l’infanzia. Saremmo, quindi, più liberi che mai di estrapolare, manipolare, sublimare, scegliere cosa inserire o scartare. E allora, ci si chiede, perché accettare pedissequamente il finale pucciniano? Aldilà dell’esotismo bieco e di maniera che pervade l’intera opera originale, con il noto sostrato paternalistico e coloniale, cosa c’è di educativo nell’additare quale gesto generoso a un bambino del 2016 la scelta di una madre di privarsi del proprio figlio (Dolore: un nome, un programma), lasciandolo a un padre che si autodefinisce vigliacco e che ha come solo “merito” il fatto di essere statunitense e ricco? L’ennesimo sdoganamento per tutte quelle star, a stelle e strisce, che vanno in giro a comprarsi i bambini del cosiddetto terzo mondo con il plauso generale – perché tuttora ci riteniamo superiori e consideriamo quale valore assoluto il nostro PIL? E il suicidio di una donna e di una madre – oltraggiata, abbandonata, tradita – ha qualche valenza educativa in un Paese come l’Italia dove, tuttora, una donna è uccisa da un uomo ogni tre giorni?
Il finale, esteticamente bello e commovente, è pedagogicamente inappropriato e non ci peritiamo di sembrare moralisti se rivendichiamo un futuro diverso per Cio Cio-san.
Pubblicato (con minime modifiche) su Artalks.net, il 26 settembre 2016
In copertina: Torre del Lago, la località che Giacomo Puccini preferì alla natìa Lucca. Foto di Marco Pomella da Pixabay.