Al Lu.C.C.A. Center la liaison tra grandi fotografi e cinema
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
La macchina fotografica che eternizza quella da presa. L’occhio del fotografo che indaga il dietro le quinte, fino a svelare, aldilà dell’immaginario filmico, il cinema per quello che è realmente – una fabbrica di sogni.
Il bel percorso del Lu.C.C.A. Center nell’universo Magnum parte dal secondo piano, dove ad accogliere il visitatore, catturandone immediatamente l’attenzione, c’è Klaus Kinski in L’importante è amare (L’important c’est d’aimer, di Andrzej Żuławski, 1975). L’occhio bistrato di nero à la Bene sul quale si focalizza l’obiettivo del fotografo, mettendolo al centro del suo e del nostro universo di senso; il primo piano dell’interprete perfettamente a fuoco, accanto a un seno leggermente sfocato le cui rotondità rimandano a una carnalità che non ha necessità di un volto (e, infatti, l’attrice resta nell’anonimato); il bianco e nero che sfuma nell’intera scala dei grigi restituendo un chiaro-scuro quasi pittorico; tutto concorre a restituire la potente personalità di Kinski e la struggente bellezza di un piccolo capolavoro ormai dimenticato.
Due sezioni sono quasi interamente dedicate al mito di MM. La Monroe giovane e sbarazzina, divertita e divertente, all’apice della carriera, in Quando la moglie è in vacanza (The seven year itch, Billy Wilder, 1955). Immortalata dalla precisione di Elliott Erwitt nella famosa scena in cui, sulla griglia della metropolitana, il vento generato dal passaggio del treno sotterraneo le alza la gonna. E una Marilyn a fine carriera, nel bel ritratto di Eve Arnold, desolatamente sola e come persa nel deserto del Nevada. Uno sfondo da Cinemascope e la scelta di mettere tutto a fuoco creano una continuità emotiva oltre che visiva che rende appieno la fragilità della donna, prima che diva, sul set dell’ultimo film che riuscirà a finire, Gli spostati (The misfits, regia di John Huston, sceneggiatura di Arthur Miller, ancora marito di MM, 1960). In grado di catturare l’atteggiamento fanciullesco di Marilyn, un altro scatto in mostra. Quello di Henri Cartier-Bresson, che la ritrae sempre sul set de Gli spostati, con i capelli raccolti e un’aria insieme ingenua e maliziosa.
Cambiando completamente genere e passando dal bianco e nero al colore, interessante la foto di Gueorgui Pinkhassov che ritrae, con un montaggio quasi cinematografico, gli Studi Mosfilm, nel 1993. E sulla stessa scia, per quanto riguarda la composizione dell’immagine, si nota Michelangelo Antonioni filma una scena di Zabriskie Point (California, 1968), scattata da Bruce Davidson. Dello stesso fotografo, per i colori decisamente morandiani, colpisce anche Michelangelo Antonioni sul set di Zabriskie Point (California, 1968), dove le terre e gli ocra dell’abito di Antonioni e delle rocce tra le quali è ritratto, sembrano accarezzate dalle montagne azzurrine dello sfondo lontano eppure schiacciato, in una foto decisamente antiprospettica.
La solitudine della star di fronte allo specchio del camerino è il soggetto di due bei ritratti in bianco e nero, in grado di restituire – attraverso il delicato gioco chiaroscurale e i rinvii simbolici narcisistici – i ritratti di: Liz Taylor sul set di Improvvisamente l’estate scorsa (Suddenly, last summer, Joseph L. Mankiewicz, 1959), di Burt Glinn; e Charles Chaplin in Luci della ribalta (Limelight, 1952), di William Eugene Smith. Negli scatti di Smith considerevoli anche dal punto di vista espressivo e per l’attenzione alle luci, è possibile scoprire il dietro le quinte, che si infrange rifrange contro l’immagine cinematografica, a sua volta metateatralizzata dal soggetto del film. Un cortocircuito di simboli e rimandi, in grado di restituire l’uomo Charles Spencer Chaplin, il personaggio Calvero, il vagabondo Charlot, e persino Chaplin regista, immortalato mentre sta dirigendo il film, ma con indosso il costume di scena e le scarpe con le suole consumate.
Lo scatto che inquadra sia l’immaginario filmico sia il suo farsi, per Gioventù bruciata (Rebel without a cause, Nicholas Ray, 1955), è a firma Dennis Stock, che eternizza l’attimo in cui le auto sfrecciano nella corsa che vede in gara James Dean contro Corey Allen, mentre l’operatore di ripresa li segue a distanza di pochi metri.
Accattivanti anche il profilo di Orson Welles con sigaro, nel ruolo dell’avvocato Hastler, e il bel ritratto fortemente espressivo di Anthony Perkins, ne Il Processo (The trial, Orson Welles, 1962), firmati da Nicolas Tikhomiroff.
Naturalmente la mostra non finisce qui. A ogni visitare ritrovare volti, nomi, espressioni e pellicole di un passato in cui Hollywood era industria cinematografica ma anche creatrice di sogni (e incubi) d’artista, in grado di conquistare le platee mondiali più per la bravura degli attori e la solidità delle sceneggiature che per gli effetti speciali. Un suggerimento, per godere ancora di più delle suggestioni di questo viaggio nella celluloide, è di intraprenderlo il martedì sera, quando una serie di performance sapranno creare cortocircuiti di senso ancora più intriganti.
Pubblicato su Artalks.net, il 13 luglio 2016
In copertina: Foto di MasterTux da Pixabay.