La Biennale di Fotografia in mostra nei Palazzi storici di Lucca
di Simona Maria Frigerio
PhotoLux 2015 si caratterizza con una serie di personali di fotografi ormai noti, una collettiva dedicata a Crimini contro l’umanità e la mostra World Press Photo, che accoglie (nella suggestiva cornice della Chiesa dei Servi) i vincitori del contest con i migliori scatti di fotogiornalismo del 2014.
Partiamo dalla collettiva che, purtroppo, vista la vastità della tematica rischia di scadere nella demagogia filo-occidentale. Quante carneficine non sono contemplate e perché? Dal Tibet sotto assedio cinese ai nativi americani decimati dagli statunitensi; dall’Etiopia gasata dagli italiani alla Risiera di San Sabba; fino all’iconoclastia che si fa risalire all’Afghanistan talebano e non ai Faraoni o al Cristianesimo. In mostra ci sono, però, alcuni scatti icastici. Primo fra tutti quello che ritrae il vice ammiraglio William H. P. Blandy con la moglie e il contrammiraglio Frank J. Lowry mentre tagliano una torta a forma di fungo atomico, sorridenti per l’avvio dell’Operazione Crossroads – il programma di test sulle armi nucleari (1946). Un sorriso emblematico che azzera l’orrore per la morte di oltre 200.000 persone allo sgancio delle bombe su Hiroshima e Nagasaki, e di altre 110.000 a causa delle radiazioni. Uno scatto che la dice lunga sulle vere motivazioni degli Stati Uniti per la distruzione del Giappone e la considerazione per la vita umana che può avere un militare. Accanto a questo scatto, che racconta un’intera storia e tutte le implicazioni di un’ecatombe, si registrano anche alcune contraddizioni. Presenti alla mostra alcuni studenti liceali accompagnati dai professori che ridono e sghignazzano di fronte alla decapitazione di un uomo a opera di estremisti. La violenza senza mediazione culturale o sublimazione artistica è ormai entrata nell’immaginario collettivo e non sembra suscitare più alcun ribrezzo, timore o rifiuto. La peggiori torture paiono non scalfire la corazza di sedicenni avvezzi al grand guignol da videogioco e ai missili intelligenti, alle guerre travestite da missioni di pace e alle vittime civili disumanizzate come danni collaterali. Certamente la foto del ’46 ha bisogno di un’elaborazione minima per colpire, ma colpisce ancora con la forza del suo iperrealismo grottesco, per l’oscenità della sua normalità da brindisi; mentre la decapitazione dal vivo trasmessa in video sembra toccare solamente chi possiede ancora una coscienza della vita e della morte.
Delle diverse personali, si nota la serie Wilder Mann del fotografo francese Charles Fréger. Sebbene le foto esplorino alcuni rituali delle tradizioni europee più ancestrali, dove il camuffamento da animale è quasi un imbarbarimento, un ritorno alle origini più che un medium per esorcizzare l’inverno e, metaforicamente, la morte, il risultato si avvicina forse troppo alla foto da studio. I costumi sono indossati da persone che potrebbero essere modelli, avulsi da qualsiasi contesto caratterizzante e messi in posa in ambienti naturali neutri (steppe, monti, boschi), senza alcun collegamento con il rito al quale dovrebbero partecipare o con gli altri membri della comunità alla quale dovrebbero appartenere. Foto belle ma un po’ fredde.
Anche la serie Haiti di Stanley Greene non colpisce particolarmente. Pur volendo indagare il fenomeno del voodoo, la maggior parte delle foto ritrae alcuni haitiani sotto una cascata o mentre si bagnano nelle acque di un ruscello. Dato che questo rituale a differenza, ad esempio, delle abluzioni nel Gange, non è probabilmente noto alla maggioranza, può restituire l’immagine di una gita domenicale come di qualunque altro momento nella vita di un haitiano, e comunica ben poco sulla religiosità di questo popolo.
Infine, la personale dedicata alle fotografie in bianco e nero firmate da Joel-Peter Witkin, manca forse di un contrappunto visivo indispensabile per apprezzare il lavoro di studio e messa in scena del fotografo statunitense. Le sue opere sono infatti un insieme di citazioni e rimandi, all’universo pittorico e grafico, con scritte, papier collé, giustapposizioni e rielaborazioni che è difficile apprezzare senza il giusto bagaglio critico, o la compresenza di immagini di storia dell’arte che ritraggano le fonti culturali e visive dalle quali Witkin parte.
Decisamente interessante, infine, la mostra World Press Photo. Diverse le tematiche affrontate dai fotogiornalisti, dall’ecologia (con un’esplicita denuncia contro l’inquinamento in Cina e Mongolia ma, stranamente, nessuna foto riguardo a quello dell’Alberta in Canada, alle discariche peruviane o, ancora, alle scorie nucleari europee) alla natura, dalle inchieste sociali ai progetti a lungo termine. Tra tutte, colpiscono forse maggiormente quelle che raccontano storie a noi sconosciute o che rivelano l’assurdità dei nostri pregiudizi.
Il terzo premio foto singola per Storie di attualità, è stato conferito a Fulvio Bugnani (Italia) per lo scatto in bianco e nero di Shinta Ratri con i suoi alunni. Ratri dirige l’unica scuola religiosa transgender dell’Indonesia, sull’isola di Giava. La particolarità è che questa fotografia racconta come in una società fortemente maschilista e dittatoriale – quale quella indonesiana – possa esistere un luogo dove i giovani transgender studiano grazie anche alle sovvenzioni dell’Università di Jepora, istituto finanziato e voluto dalla comunità islamico-sunnita. Mentre il primo premio per Progetti a lungo termine è andato a Darcy Padilla (Usa) per Amore familiare (1993-2014). Padilla ha seguito la vita di Julie Baird, affetta da Hiv, per oltre vent’anni, raccontando innamoramenti e separazioni, la nascita delle figlie, litigi e malattia, abbandono, violenza e morte. Un percorso fotografico a livello estetico non particolarmente innovativo o curato, ma decisamente interessante come testimonianza di un’esistenza borderline. Sconvolgente e coinvolgente il primo premio ritratti per il Reportage Miracle Village, conferito a Sofia Valiente (Usa). Una serie di scatti dedicati ai cento condannati per reati a sfondo sessuale, che oggi risiedono in questo paesino della Florida, fondato dal pastore evangelico Dick Witherow quale rifugio per coloro che chiama i “lebbrosi di oggi”. Vista la sessuofobia imperante negli States che condanna, insieme a veri criminali, anche il ventenne che fa sesso con la ragazza quindicenne consenziente (o viceversa), o il ragazzo gay diciassettenne che ha un rapporto con l’amico trentenne, e l’aggressività insita in serie tv come Law and Order Unità Vittime Speciali, il termine lebbrosi non pare inappropriato, anzi. Mentre le foto dipingono una realtà diversa, intrisa di solitudine e abbandono, domande senza risposte verso una società che preferisce sempre e solo stigmatizzare invece di comprendere e ricomprendere.
Infine, etica ed estetica raggiungono un valore assoluto nel terzo premio foto singola per Storie d’attualità, che si è aggiudicato il danese Mads Nissen (vincitore del World Press Photo of the Year 2014) per Jon and Alex, a gay couple during an intimate moment. Le persecuzioni per le coppie omosessuali e lesbiche in Russia sono ormai all’ordine del giorno. La bellezza del ritratto di questa coppia dal sapore poetico; l’illuminazione pittorica accentuata dal panneggio di fondo à la David; l’intimità dell’atmosfera ricreata ad arte eppure di una levità che restituisce la naturalezza del momento vissuto; lo struggimento per un amore che potrebbe finire con la luce del giorno; l’attimo eternizzato perché si è coscienti che non si potrà mai più rivivere un tale apice di felicità, come ne Les Faux-monneyeurs di Gide: tutto questo respira e travalica, si comprime ed eternizza in uno scatto, semplicemente perfetto.
Recensione scritta il 2 dicembre 2015 per Artalks.net
In copertina: Locandina del Challenge di PhotoLux 2015 dedicato agli instagramers sul tema Sacro e Profano.