Prima nazionale per Macelleria Ettore a Inequilibrio Festival 2015
di Luciano Uggè
Consenso unanime di critica e pubblico per un debutto senza alcuna sbavatura.
All’interno di una scenografia minimalista ma funzionale e utilizzata al meglio dai quattro protagonisti (Claudia de Candia, Stefano Pietro Detassis, Maura Pettorruso e Angelo Romagnoli), si svolgono e si svelano frammenti, tracce di relazioni tra individui che, come linee spezzate, paiono, a volte, intersecarsi per poi allontanarsi irrimediabilmente, tangenti su un orizzonte lontano, parallele di questo universo euclideo chiuso nella sua logica matematica senza appello.
Grazie all’elaborazione intelligente del testo drammaturgico – opera di Carmen Giordano, anche regista – e all’abilità dell’intero cast, lo spettacolo, pur basato su racconti a se stanti, dimostra una compattezza felice che lo rende oltremodo fruibile e godibile.
In un’atmosfera distaccata, rarefatta, si muovono personaggi che hanno poco o nulla da dirsi – le incomprensioni sono usate come pretesto per risolvere relazioni mai vissute veramente. Gli accostamenti, scelti con grande perizia e cura, creano un continuum di senso sia nella descrizione dei vari personaggi che delle relazioni tra gli stessi. A volte, sembra quasi che si racconti un unico incedere doloroso dalla giovinezza dell’individuo, ancora illuso di poter essere felice, fino al crepuscolo della sua vita, ormai trascorsa per sempre.
L’inquietudine di tutti e ognuno è accentuata da prolungati silenzi, che rafforzano il senso di instabilità, dove il dramma sembra sempre sul punto di esplodere nell’invettiva liberatoria o, addirittura, nella tragedia senza possibilità di appello – cosa che, nello spettacolo così come nella realtà, avviene raramente. Colpisce, soprattutto, la descrizione di quei bisogni malcelati o solo parzialmente espressi che, piano piano, si fanno luce mostrandoci una società dove le barriere collettive e caratteriali, e le paure, dei singoli e dei molti, impediscono la ricerca di una possibile felicità.
Gli attori entrano ed escono di scena, utilizzando il giardino, un tappeto verde fiorito, come fosse un ring, circondato da muri inesistenti – suscitati nell’immaginario collettivo da un abile utilizzo delle luci. Un lampione è sufficiente per descrivere una miriade di luoghi dove si svolgono incontri fugaci e senza amore, tentativi di relazione abortiti, scene di vita (o non-vita) quotidiana – senza infamia e senza gloria.
Una regia attenta e intelligente accompagna lo spettatore nel lungo viaggio fino all’inevitabile esaurirsi di queste esistenze che non riescono a comprendersi, preda di pregiudizi – dove è maggiormente la casualità a disvelare piuttosto che il dialogo o lo svolgersi della relazione.
Un finale inaspettato e liberatorio, e poi “tutti a casa!”.
Pubblicato (con minime modifiche) su Artalks.net, il 5 luglio 2015
In copertina: Una scena dello spettacolo (foto gentilmente fornita dall’Ufficio stampa della Compagnia).