Il fiume di Márquez invade la scena
di Luciano Uggè
Al Funaro Centro Culturale, di Pistoia, va in scena il celebre romanzo del maestro del realismo magico – con Laura Marinoni, per la regia di Cristina Pezzoli.
Uno spazio particolare, quello del Funaro, che nella sua mancanza di palco non aiuta la regista Cristina Pezzoli nell’adattamento e messa in scena del celebre romanzo di Gabriel García Márquez, Amore ai Tempi del Colera.
Nello spazio privo di prospettiva e abbastanza ristretto, infatti, la cantattrice deve calarsi in una molteplicità di ruoli evocati con semplici oggetti e, a volte, con la complicità dei musicisti – presenti in scena – oppure districarsi in cambi d’abito turbinosi, indispensabili per connotare i mutamenti d’umore o di situazione del racconto che, come un fiume, evoca sessant’anni di vita di tre personaggi legati indissolubilmente. Riduzione complessa, quindi, data la tipica prolissità dei romanzi di Márquez e degli scrittori latinoamericani in generale.
Puntando l’attenzione sugli oggetti, in particolare, disposti quasi casualmente di fronte al pubblico, se ne nota l’importanza quando sembrano prendere corpo, inserendosi nella rievocazione per rendere visibili situazioni altrimenti difficili da mettere a fuoco. Lampi di colore che squarciano l’aria, come nel caso delle piume del pappagallo, oppure batuffoli di velo teneramente abbracciati come bambini ai quali ninnare un dolce motivo brasiliano.
Presenti anche tutti gli stilemi dell’autore, come la presenza attiva degli animali – che servono a far progredire la vicenda – o la cucina descritta nel dettaglio – con il tipico gusto per la preparazione dei piatti o delle idiosincrasie dei protagonisti, in questo caso l’avversione di Fermina per le melanzane. Uno spaccato di vita dove la verità non è l’obiettivo della ricerca ma, al contrario, il suo disvelamento è causa di gravi cambiamenti e della perdita dell’innocenza.
Se la figura di Fermina risulta un po’ sfuocata, è perché al centro, troneggia il maschio latino, da una parte visto come protagonista di incontri di pochi giorni, o forse ore – quando si tratti di Florentino; e dall’altra, come marito insulso e imbelle amante – quando si consideri il virtuoso dottore.
Marinoni ripercorre tutta la serie di eventi che caratterizzano l’intera vita dei tre, intercalando il testo con alcune canzoni, a volte evocative a livello emotivo e, in altri momenti, utili a ricreare il clima latinoamericano alleggerendo un racconto molto pesante in alcuni suoi tratti.
Le luci, non sempre, riescono a rendere al meglio la scena – in quanto spesso non si sposano con i movimenti, i cambi d’abito e il modificarsi di stati d’animo e situazioni. Mentre i musicisti, che partecipano saltuariamente al dialogo, non sono immediatamente percepiti come i caratteri evocati in quanto non ricoprono sempre un ruolo preciso.
Nel complesso, uno spettacolo sobrio, che focalizza le parti fondamentali del romanzo, con scelte registiche appropriate quali il racconto dei primi tempi dell’innamoramento tra Fermina e Florentino o la pantomima della caccia al pappagallo che getta lo spettatore in medias res.
E la fiaba si conclude, ovviamente, con l’amore ritrovato.
Pubblicato su Artalks.net, il 13 giugno 2015
In copertina: Laura Marinoni, foto di Ilaria Costanzo (gentilmente fornita dall’Ufficio stampa del Funaro).