Far from Heaven
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
Si è appena inaugurata una nuova mostra fotografica presso al Tenuta dello Scompiglio di Vorno. In Dove il cielo è più vicino si raccontano le campagne dell’entroterra toscano tra abbandono e voglia di ricominciare.
In questi giorni una suggestiva mostra fotografica nello Spazio Performatico ed Espositivo dello Scompiglio (poco lontano dalle Mura di Lucca), rimanda alle polverose strade deserte dell’Idaho degli anni 50, immortalate da The riflecting skin (Riflessi sulla pelle) – l’inquietante film di Philip Ridley; e a quel senso di abbandono delle campagne, di profonda crisi economica e di voglia di riscatto del capolavoro letterario di John Steinbeck, The Grapes of Wrath (Furore).
Calati in uno stanzone semibuio, gli spettatori si ritrovano immersi in un non-luogo, circondati da bolle di luce. Potenti faretti illuminano dall’alto una serie di gigantografie appese nel vuoto, che immortalano alcuni poderi abbandonati da anni e recentemente assegnati dall’Ente Maremma. Casolari desolati sotto cieli plumbei, sperduti tra terreni, a volte, ricorperti di sterpaglie; altre volte, erpicati di fresco. Le foto si specchiano le une nelle altre caricandosi di significati sempre più angosciosi – sebbene non si capisca subito il perché. La pompa a vento che ricorda l’epopea western, l’ombra incombente dell’albero sulla casa, le nuvole minacciose, l’intonaco scrostato, la staccionata malmessa ma, soprattutto, l’assenza di esseri umani. Tutto è silenzio. Ed è solo a questo punto che si nota il dettaglio d’artista: Moira Ricci ha eliminato porte e finestre – i casolari stessi tacciono, come i volti dei manichini di De Chirico, privati di occhi e bocca. L’entroterra toscano si tinge di malinconia, l’analisi sofferta di un progressivo abbandono del lavoro agricolo si trasforma in opera d’arte. Nel buio che avvolge i sensi e nel silenzio, sono i contrasti coloristici e di volumi di queste foto a parlare, comunicandoci la loro angosciosa presenza/assenza.
In una stanza laterale, un video di un’ora completa il discorso. Moira Ricci – che proviene da una famiglia di agricoltori – costruisce con il padre, i parenti e alcuni amici un’astronave per cercare – come fecero i protagonisti di Furore durante la Depressione – una nuova terra. In questo caso, non sarà la California, bensì un pianeta altro, dove ricominciare. Partendo da una trebbiatrice e assemblando pezzi di recupero, Ricci & Co. mettono insieme un’astronave in stile District 9. Pur girato con la macchina da presa fissa, il video è in sé godibilissimo, giovandosi di un montaggio accelerato che rende il paesaggio protagonista grazie ai cambiamenti atmosferici e al susseguirsi delle ore con i relativi giochi di luci e ombre. Il risultato finale, l’astronave ʻriciclata’, ha in sé un messaggio di speranza che, contrapposto, alla mostra fotografica – anche a livello linguistico, con il movimento del video che fa da contrappunto alla fissità delle immagini – lascia lo spettatore sollevato, pronto egli stesso a quel viaggio verso nuovi mondi o, semplicemente, verso altri modi di vivere questo.
Eccellente allestimento, mostra da godersi con tutta calma.
Pubblicato su Artalks.net, il 22 novembre 2014
In copertina: Moira Ricci, Dove il cielo è più vicino, 2014. Veduta d’insieme dell’esposizione fotografica presso la Tenuta dello Scompiglio di Vorno. Courtesy Associazione Culturale Dello Scompiglio (tutti i diritti riservati).